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Lunga vita alla Regina

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Viaggio sul basolato consumato della Regina Viarum per "sentire" il fascino immortale dell'Appia Antica sotto i propri piedi

Il basolato antico, che quando piove sembra una distesa di conchiglie o di sassi di fiume; la lunga fila di tombe e sepolcri; i pini marittimi che la punteggiano dall’Ottocento rendendola un’istantanea del fascino di Roma riconoscibile ovunque nel Mondo. Se l’hanno chiamata Regina Viarum un motivo c’è. E se il nome poetico dell’Appia Antica è ancora questo a distanza di millenni è perché quel suo miscuglio di pietre levigate, rovine, alberi e cielo è rimasto scolpito nella memoria dei viaggiatori di tutte le epoche.
Ritrovare quest’immagine non è cosa complicata. Basta dedicare una giornata di sole al Parco omonimo o staccarsi dal centro storico superando Porta di San Sebastiano, non lontano dalle Terme di Caracalla.
Chi va per catacombe o abita a ridosso del parco, perché è Regina lo sa bene. Chi non si sente soddisfatto se non cammina per ore sui vicoli intorno a Campo de’ Fiori, invece, dovrebbe provare l’ebbrezza di staccarsi da quel panorama per rivolgersi anche ad altre e più spaziose mete. E l’Appia antica è semplicemente il miglior inizio che ci si possa augurare.
Il perché sta tutto nello spazio, nella scenografia, nelle storie che raccontano quei sepolcri e quelle catacombe. Perché qui, sul suo basolato liscio, è più facile interiorizzare la grandezza di Roma antica – una grandezza fisica – e quasi visualizzarla, sentendosi per un attimo partecipi del progresso declinato alla maniera della Repubblica delle opere pubbliche e della crescita.
Quelle pietre sono lì dal 312 avanti Cristo. Sul finire del i secolo erano già arrivate al porto di Brindisi, forte di vari “trucchi” ingegneristici che rendevano la strada affidabile nonostante le variazioni climatiche (aveva scoli laterali e non era in terra battuta, tanto per dire le cose più importanti). Ma, soprattutto, l’Appia antica era larga a sufficienza per sopportare il traffico nei due sensi di marcia, cosa che la fece immediatamente percepire come efficiente, veloce e percorribile in qualsiasi occasione. L’Appia era Roma che cresceva mangiandosi il Sud Italia un pezzetto dopo l’altro. Era il simbolo della sua forza e delle capacità di un popolo in espansione. Era – appunto – la Regina dei romani e ne guidava l’inesorabile avanzata. Era, forse, ancora più importante degli acquedotti che pure sono un simbolo dell’incredibile forza dell’Urbe. Gli acquedotti sono opere pubbliche che agiscono sulla qualità della vita. L’Appia antica era sì al servizio dei cittadini di Roma e delle sue province, ma portava impresso il marchio della conquista. Sul suo percorso si sperimentava l’ebbrezza della vittoria.
Oggi purtroppo è impossibile “sentirla” come nel i secolo, ovviamente. Eppure gran parte della sua energia è ancora custodita nel suo basolato consumato e a questo flebile fiato bisognerebbe prestare attenzione in una passeggiata nel parco. La sovranità dell’Appia antica, di questi tempi, invece, ha senso in una prospettiva tutta estetica e quasi unicamente emotiva.
La Regina è ormai vecchia e ciò che rimane è più che altro la memoria delle sue gesta importanti, delle sue vittorie e delle sue conquiste. E quel suo fascino nobile di pietre antiche, rovine, alberi e cielo.




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