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Parioli: Un posto davvero insolito? Quartiere Coppedè!

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Come ritrovarsi in un set cinematografico passeggiando per la città. Quartiere Coppedè è una specie di bosco incantato fatto di cemento, è un'epifania di forme art nouveau nel bel mezzo dell'insospettabile e altero quartiere Parioli. Segui Gaia alla scoperta di Roma

Ok, va detto. Roma vive nei suoi monumenti vetusti, nelle colonne che sbucano a ogni angolo, nei gatti randagi che abitano fra i ruderi. Roma è nei vicoli, negli squarci di luce che inquadrano cieli brillanti e palazzi signorili macinati dal tempo. Roma è nella gramigna e nel cappero selvatico, la prima che si insinua fra le tegole, l’altro che prospera su mura antiche. 

Roma è il vecchio. Il consunto.

Poi, invece, un giorno può capitare di iniziare a passeggiare fuori dal centro storico. Magari di finire dalle parti dei Parioli e – rimandando una visita al nuovo museo di arte contemporanea, il Macro – indugiare sulle strade del quartiere “bene” per eccellenza alla ricerca di spunti architettonici inusuali, rotte diverse per una volta, lasciandosi guidare dal gusto novecentesco dei palazzi, dal lusso dei portoni che corrono lunga tutta viale Regina Margherita: lì la zampa di un leone a sorreggere lo stipite di un ingresso, qui una finestra con le bifore, di là ancora un vetro colorato, dall’altra parte un balconcino art déco

Tutto il panorama sembra una specie di introduzione, un aperitivo delicato in attesa della cena. Perché all’altezza di piazza Buenos Aires bisognerà fermarsi e abbandonare la strada principale. Via Tagliamento è la traversa più conosciuta dei Parioli. Negli anni Sessanta è stata la casa del Piper e lo è tutt’ora. Ma per “cenare” occorrerà trattenersi da una visita fra il nostalgico, il generazionale e il musicale e scegliere di deviare verso piazza Mincio, poco più in là.

All’inizio sembra l’ingresso di uno di quei “cortiloni” così comuni nell’architettura del primo Novecento, poi lasciandosi andare alla magia di un arco decorato fino allo stremo con un lampadario gigante che penzola dalla volta, si oltrepasserà questo confine misterioso e Roma ci svanirà alle spalle. 

Il sortilegio di piazza Mincio è tutto nei dettagli. La fontana delle Rane, i villini che le si stringono sopra. Lo sguardo non può rallentare la corsa nella catalogazione di ogni possibile variazione plastica del cemento. Nel cuore del Quartiere Coppedè (perché questa manciata di strade strette attorno a una piazza ha la dignità “stilistica” anche se non amministrativa di chiamarsi “quartiere”) si impara ad aggiungere un nuovo aggettivo allo stupore turistico: onirico. 

E infatti il quartiere inventato da Gino Coppedè, fiorentino trapiantato a Roma nel 1915 per affrontare questa nuova sfida, è capace di annullare la città degli imperatori e dei papi in favore di un sogno dinamico popolato da fate, api, ragni. Un universo art nouveau che è al tempo stesso un inno alla modernità (per il cemento) e un bosco incantato. È un set cinematografico o un allestimento teatrale, dedicato alla borghesia del tempo.

C’è anche da dire che l’amministrazione capitolina dell’epoca non prese molto bene questo esperimento di architettura e decorazione e lo trattò con sufficienza, come il pugno nell’occhio alla città che in effetti è (forse nel timore che Coppedè volesse estendere i suoi “esperimenti” anche al resto della Città Eterna).

Ma non bisogna preoccuparsi. Nel tempo, Roma gli è cresciuta intorno con tale vigore che oggi il Quartiere Coppedè è poco più di una parentesi minuscola in un mare di palazzi, automobili, tram e confusione. E, come un bosco incantato, appunto, tende a scomparire, a nascondersi in attesa di un visitatore curioso che lo sveli in silenzio, con un rispetto rinnovato per il genio del suo creatore. 

Qualcuno che decida di prolungare la sua passeggiata facendosi guidare dai decori dei portoni d’epoca, che ancora si entusiasmi davanti a una finestrella a bifora, o al cospetto di un balconcino dalle leggiadre volute art déco.






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