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Via Casilina: Un cuore di binari

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Il modo migliore per cogliere comodamente il fascino di via Casilina è salire sul suo trenino urbano. Una fermata dopo l'altra vi condurrà nel cuore di una periferia conosciuta solo per gli stereotipi e non per la sua bellezza a tratti struggente. Scopri questa zona di Roma con Gaia.

La chiamano ferrovia Roma-Giardinetti e tempo fa, Roma-Pantano (quando ancora ci si ricordava che questo tratto di binari che taglia la periferia est della capitale portava “fuori confine”, verso Frosinone). Spesso si sente anche il nome di Trenino di Grotte Celoni. Ma è un titolo “stradaiolo”, così come anche Trenino della Casilina, utile però per capirne il percorso. 

Qualunque nome abbia, in ogni caso, è questo il mezzo da prendere se ci si vuole tuffare nei panorami e nel mondo di una consolare fra le più note di Roma: via Casilina, appunto. 

Appena pochi anni fa sarebbe stato assurdo proporre questo giro come valida alternativa turistica ai percorsi soliti, ma ora che il Pigneto è diventato un punto di riferimento per gli amanti del passato non tanto remoto della città e di “suggestioni romane” un po’ meno patinate dei vicoli di Trastevere, anche la ferrovia Roma-Giardinetti può avere il pregio di trasformarsi in un viaggio popolare nelle viscere della metropoli. 

Prima cosa, attenzione al treno. Con le ultime migliorie il viaggio è ancora più semplice: sulle porte sono segnalate tutte le fermate della linea e le stesse sono riportate per strada, quindi è quasi impossibile perdersi. Ognuna segnala la via o il luogo di maggior interesse della zona. Si parla di zone perché la Casilina è lunga e con la corsa del trenino si taglieranno svariati quartieri della periferia romana

Insomma, andiamo. Il trenino si prende a Termini, sul fondo di via Giolitti, dove partono i regionali (le ferrovie laziali), davanti a un mega-parcheggio moderno che quasi cancella la vista dei palazzi umbertini e stride non poco con il fascino vintage dell’Esquilino

Le vetture sono spesso “tritate” da troppi anni di servizio e troppi viaggi, ma non importa: l’estetica “ciancicata” è perfetta per una corsa periferica da turisti dell’insolito, piuttosto sarebbe utile chiedere cosa ne pensano gli utenti del trenino che lo devono prendere ogni giorno, ma questa è un’altra storia. 

Il trenino sferraglia, sbuffa e le porte si aprono e si chiudono con un clangore infernale. Ma a ogni fermata c’è qualcosa che attrae l’attenzione. Un dettaglio, uno scorcio. Un palazzo particolarmente gradevole. Il primo tratto è tutto dedicato ai panorami della stazione e dell’Esquilino, poi, dopo Porta Maggiore il treno si infila sotto la tangenziale per sbucare all’inizio della Casilina (nuova, perché la “vecchia” corre parallela ma senza binari). 

Il Pigneto arriva quasi subito, dopo neanche dieci minuti di corsa. Poi si prosegue verso Tor Pignattara. Lì, all’incrocio fra via dell'Acqua Bulicante, via della Maranella e, appunto, via di Tor Pignattara il treno si intasa fra le macchine e i passeggeri si stordiscono di clacson. Da quelle parti la vita pulsa intorno ai negozi, sui banchetti dei verdurai aperti fino a sera tardi, nei tantissimi mini-market e fra i caseggiati del dopoguerra, mentre la Casilina piano, piano si allarga concedendosi un po’ più di aria. 

Centocelle è all’orizzonte, annunciata dall’immenso pratone del vecchio aeroporto, il primo d’Italia. Bisognerebbe arrivare proprio in questo punto al tramonto. Perché la vista è impagabile e gli occhi hanno finalmente il privilegio di muoversi su uno spazio vuoto, di rilassarsi, per quanto i palazzi della periferia incombano in lontananza, pronti ad azzannare di storie e vite chi si infila nelle strade interne, abbandonando la consolare. Dopo Centocelle, l’Alessandrino e Torre Maura.
Qui ci si arriva con una parola dura sulle labbra: borgate. 

Ed è ormai una parola tabù. Perché nessuno di questi luoghi ha voglia di essere ricordato così, per questo suo passato nero.

È che a Roma c’è una bella differenza fra quartieri e borgate. Un quartiere, per quanto periferico possa essere, è un nucleo vivo. Ha servizi, strade e piazze; ha spazi ricreativi (magari il cinema e un teatro); ha la biblioteca. La borgata no. La borgata non ha niente, solo i borgatari.

L’Alessandrino, il Quarticciolo, Torre Maura e poi più giù, alla fine della corsa, Torre Angela, questo passato oscuro lo stanno combattendo oggi. Sono memorie difficili che si mescolano a un diverso modo di vivere il territorio o l’appartenenza allo stesso. Essere nato in questi quartieri significa esserne figlio ed è la cosa più vicina per comprendere la storia antica dei rioni. I romani veri sono qui.

Ed è uno spettacolo di autentico amore quello che va in scena tutti i giorni su queste strade. Amore per le loro case che magari sono state tirate su a forza di braccia dai loro nonni e dai loro padri, amore per una vita decentrata che nel tempo ha formato una specie di scorza dura, difficile da scoprire, ma che nasconde un cuore tenero di asfalto e cemento.

Percorrere le strade di queste ex-borgate, anche solo per un pomeriggio, in una fuga dall’archeologia e dall’arte “nobile”, significa tuffarsi nel profondo del cuore nuovo di Roma. L’unico rimasto. Quello eterno.





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