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Via Barberini: A casa di papa Urbano VIII, a due passi da Via Veneto

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Una passeggiata introduce al mondo nobile dei Barberini, importante e temuta famiglia romana. Tutto in zona ci parla di loro, dal Palazzo che domina il paesaggio, appollaiato in cima a una salita alle due fontane berniniane sulla piazza

Sarà la vicinanza con via Veneto e l'aria cosmopolita da dolce vita che ancora aleggia come un fantasma nei caffè, sarà l'hotel Bristol sulla piazza, uno dei più blasonati di Roma, attivo per accogliere altissime personalità e capi di stato dal 1874, ma piazza Barberini può mettere un po' di soggezione, così, a un primo sguardo. 



Sullo sfondo di un paesaggio caratterizzato da due fontane capolavoro (quella delle Api e quella del Tritone al centro della piazza), c'è il palazzo degli aristocratici che hanno posseduto tutta l'area e per un certo periodo anche Roma: i Barberini, appunto. 

Con la zona, però, si "fa amicizia" abbastanza facilmente. Basta non lasciarsi stordire dal traffico che sale rombando da via del Tritone e che si incaglia nel girotondo della fontana del Tritone e poi, lentamente, accordare gli occhi sui tanti segni che qualificano la zona di "Barberini" come un simbolo della Roma barocca, o meglio del "potere" nella Roma barocca

Bernini lavorò qui, Borromini - prima - fece altrettanto, così come il suo maestro e mentore Carlo Maderno (l'autore della facciata di San Pietro all'inizio del Seicento), tutti e tre impegnati a rendere splendida la dimora "fuori porta" (sì, questa era campagna nel Seicento) della potente famiglia che dava papi a Roma e da Roma pretendeva rispetto e sottomissione. 


Proprio dal Palazzo bisognerebbe quindi cominciare per avvicinarsi a questi aristocratici ricchissimi e controversi. Adesso è un museo fra i più interessanti della città, con opere fondamentali per comprendere la storia dell'arte dal Rinascimento al Settecento, primo fra tutti lo splendido soffitto affrescato di Pietro da Cortona per il papa Urbano VIII che è - senza ombra di dubbio - uno dei simboli della pittura dell'epoca. 

Qui sono le api a fare da filo conduttore, le api dello stemma della casata. Per un lungo periodo, infatti, furono queste bestioline a contendere il primato a un altro animale protettore della capitale: la lupa. Erano dappertutto, segno che Roma era dei Barberini e da loro veniva "marchiata" perché anche il più distratto dei "turisti" dell'epoca se ne accorgesse. 

Oggi vanno cercate guardando i dettagli dei decori nel palazzo o mentre si ammira l'omonima fontana berniniana e poi vanno riconosciute in giro per la città, ricordando le parole affilate di Pasquino che sui Barberini e sulla loro politica fu lapidario: "Quod non fecerunt barbari fecerunt Barberini" (quello che non fecero i barbari lo fecero i Barberini). 

Sì, i contemporanei non dimostrarono molta stima per questa famiglia, la cui politica è stata spesso ricordata più che altro per l'appropriazione e lo spoglio del patrimonio antico. Ma a distanza di secoli è facile sentirsi più indulgenti. In fondo, se Roma è bella, lo si deve anche a loro e alla loro prepotenza; a loro e alla loro passione per gli artisti di grido; ai loro soldi.


Se i Barberini furono i nuovi barbari, dunque, bisognerebbe chiederselo fra i saloni del Palazzo, mentre si ammira un capolavoro dietro l'altro, o passeggiando nel giardino, salendo gli scaloni di rappresentanza, davanti alle forme gentili ed eleganti della Fontana delle api, oppure davanti ai delfini dell'altra fontana berniniana, quella che ogni giorno assiste al girotondo furioso del traffico romano e non fa una piega.

Ecco, per lei, probabilmente, i barbari siamo noi.





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