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Una storia segreta

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inserito il 29/01/2011

Fra Porta Furba e gli acquedotti, il Quadraro sembra un paesino incastrato in mezzo alla città, ma questa ex-borgata ha anche una storia densa da raccontare e ricordi di guerra dolorosi cui rendere omaggio in un parco

Il fascino di Porta Furba, la corsa degli acquedotti, l’aria di campagna romana e quella della borgata, la bellezza della fontana del Mandrione e l’edilizia anni Venti. Tutto si fonde sulla Tuscolana, quando si scarta a sinistra venendo dal Raccordo per infilarsi nell’universo segreto del Quadraro.
Ogni anno il numero di appassionati di questa ex-borgata aumenta per effetto di un passa-parola irresistibile. “Ma come, ancora non sei mai andato a spasso al Quadraro?”. Alle spalle del pratone che un tempo era l’areoporto di Centocelle, fino a via degli Angeli, su strade che portano nomi di romani antichi illustri, la rotta è delimitata da un intrico di vie che si dipana lungo la corsa della Linea A della metropolitana (fermata Porta Furba).
Stretta fra la Tuscolana da una parte e la Casilina dall’altra, la borgata è cresciuta fin dai primi anni del Novecento a cominciare da un gruppo di casette basse a due, tre piani e un piccolo terreno intorno che si mimetizzavano in mezzo alle due gigantesche consolari. Il Quadraro è cresciuto nascondendosi, nascondendosi e venendo ignorato. Tutto sembra segreto da queste parti.
Ma non per mancanza di cordialità dei suoi abitanti che sì hanno un senso di fierezza e d’appartenenza al territorio superiori, ma poi sono anche pronti a condividere le loro storie e a raccontare ciò che li rende “comunità” in senso stretto. Fratelli di strada, compagni di vita.
Per capire meglio questa “segretezza” congenita in un quartiere fatto di piccole strade e angoli tanto incantevoli quanto polverosi, basta raccontare una storia.
Il 17 aprile del 1944 i Tedeschi (SS e Gestapo) e i fascisti (la temibile Banda Koch) calarono sulle case del Quadraro per un rastrellamento che stranamente non è passato alla storia pur avendo sottratto alla borgata praticamente tutti gli “uomini utili”, 947 persone per l’esattezza, di cui solo la metà farà ritorno a casa dai campi di lavoro tedeschi dopo la guerra.
D’altro canto una rappresaglia nazi-fascista era allo studio da tempo. Quel posto lì era già stato sottoposto all’alacre lavoro per le spie e già la sua fama lo precedeva fra i simpatizzanti della resistenza romani (“se ti vuoi salvare dai fascisti” – si diceva – “o vai in Vaticano o vai al Quadraro”) e fra le alte cariche tedesche, tanto che lo stesso Kappler lo definì: “un nido di vespe” . Era zona franca, avamposto di una schiera di quartieri periferici (come Centocelle, il Quarticciolo, per esempio) in cui, per una volta, i nazisti non si sentivano per nulla padroni.
Per far scattare un rastrellamento serviva solo una scusa, che puntualmente capitò (o fu fatta capitare) una notte in osteria in un vicino quartiere. Giuseppe Albano, vero nome del gobbo del Quarticciolo, accoppò tre soldati nazisti. Una settimana dopo, all’alba del 17 aprile, la rappresaglia e la deportazione. Fu una mattinata tragica di violenze, arresti e interrogatori.
Nel 2004, in occasione dei sessant’anni dall’accaduto, finalmente, al Quadraro fu concessa una medaglia al valore civile in ricordo di quei fatti e della sua resistenza fino ad allora ignorata. Pochi giorni prima era uscito un libro di cui si consiglia caldamente la lettura: La borgata ribelle di Walter De Cesaris (edizioni Odradek) che rievoca quell’episodio con dovizia di particolari e analisi interessanti.
Per sessant’anni, insomma, questa era rimasta una storia segreta, parte della memoria collettiva di un quartiere cui rendere omaggio in una passeggiata nel Parco xvii aprile 1944 che conduca anche al monumento ai partigiani.
Ma – di nuovo – agli abitanti del Quadraro non si può imputare alcuna colpa. Il segreto è piuttosto il riflesso di un modo di “scrivere” la Storia facendosi guidare dai nomi illustri e tralasciando il popolo e le sue gesta. Poi c’è anche la riservatezza insita in chi è abituato a fare da solo e difendersi da sé. A tenersi nascosto nel traffico di due consolari gigantesche in un gomitolo di strade che oggi bisogna proprio andare a scoprire.




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