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Pigneto quartiere aperto

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inserito il 29/01/2011

Ieri era una borgata poverissima, poi è stato scoperto dai Neorealisti, in seguito dagli immigrati e infine da un esercito di giovani imprenditori che ne stanno modificando l'anima radicalmente. Il Pigneto è oggi un indirizzo per mangiare bene, bere bene, divertirsi benissimo. Il suo futuro è ancora tutto da scrivere

Se vent’anni fa avessero detto a qualcuno che il Pigneto sarebbe diventato il posto “it”, “cool”, “trendy” della Roma creativa e giovane quel qualcuno si sarebbe fatto grasse risate poi si sarebbe girato e se ne sarebbe andato.
D’altro canto – ripensandoci – se a quel qualcuno avessero detto che prima del Pigneto come quartiere “figo” ci sarebbe stato San Lorenzo quel qualcuno si sarebbe comunque sbellicato.
È che il Pigneto – ormai prima periferia di Roma, stretto fra la Prenestina e la Casilina (ma all’inizio delle due consolari) – una volta aveva giusto i topi. I topi, le case abusive e le fognature a cielo aperto. Aveva anche i bambini con le croste che giocavano per strada e una generazione di partigiani operai da far innamorare i registi neo-realisti. Che difatti, conseguentemente, si innamorarono.
Rossellini, tanto per citare il più famoso, ci girò Roma città aperta. E al Pigneto, infatti, i primi “turisti” furono personaggi come Anna Magnani e Aldo Fabrizi.
Pasolini, invece, che non si può definire un neo-realista, ci arrivò negli anni Sessanta e ci girò Accattone.
Ma insomma, come ha fatto il Pigneto a diventare così cool?
È che la Roma universitaria, come tutto il resto del mondo, segue una legge fisica che investe l’Universo: si espande. Le case costano sempre un po’ meno a un chilometro dopo l’ultimo quartiere invaso dagli studenti fuorisede. Così i fuorisede si spostano di quel chilometro e dopo qualche anno gli appartamenti salgono di prezzo anche lì e così via, fino ai limiti del Raccordo Anulare. Il Pigneto veniva dopo San Lorenzo, rimaneva nei paraggi dell’Università La Sapienza e perciò l’arcano è presto svelato.
Ma c’è di più.
La stessa legge regola la Roma extracomunitaria. Così, dopo l’Esquilino e le zone limitrofe a piazza Vittorio, tantissimi immigrati si sono stabiliti da queste parti.
Poi, intorno al Duemila, c’è stato un bando di concorso diretto ai giovani per avviare un’attività in un quartiere di periferia. E al Pigneto sono arrivate produzioni cinematografiche, baretti, librerie, i progetti per la restaurazione (e la rianimazione) del vecchio Cinema Aquila, ad affiancarsi al lavoro dei writer che già da tempo si dilettavano sui muri per denunciare lo spreco di una zona bellissima. Il tutto però si è miracolosamente sovrapposto alle casette abusive ripulite, condonate e affittate ai fuorisede, le quali, nel frattempo, si erano ritrovate su strade un po’ più asfaltate e senza fognature a cielo aperto. E poi, questo “tutto” si è mescolato alle varie comunità di extracomunitari e all’orgoglio borgataro che in fondo ancora permea tutte le periferie di Roma che hanno una storia (anche triste) da vantare.
Infine è arrivata l’isola pedonale su via del Pigneto che ha valorizzato il mercato, i negozi e i ristoranti “in” portati dal bando del Comune.
Così, il vecchio quartiere operaio che sedeva su un tratto della ferrovia Roma-Cassino è oggi una specie di Kreutzberg all’amatriciana, pieno di attività incredibili e bar meravigliosi in cui si può entrare per bere un tè e passare ore a leggere un libro senza che un cameriere sgorbutico ti intimi di ordinare qualcos’altro o andartene e lasciare libero il posto. Dove si può andare a passeggiare per ammirare l’edilizia severa delle case a buon mercato. E perdersi nelle traverse per vedere i villini abusivi della “metropoli spontanea”, come erano state definite le borgate prima del Piano Regolatore degli anni Sessanta.
Ecco a quel qualcuno di vent’anni fa forse, prima di fare quella domanda, si dovrebbe raccontare tutto questo. E poi non si sbellicherebbe più.


Il blog
di
Ilaria
Beltramme

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