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Cassia: a caccia del fantasma di Nerone sulla via consolare

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Ha un fascino tutto speciale che la distingue dalle altre vie consolari. Per prima cosa comincia a Ponte Milvio e non in Campidoglio come tutte le strade antiche della capitale. Ma sulla Cassia è facile inciampare anche nelle strane leggende che rendono Roma un luogo unico. Venite a scoprirle con Gaia!

La Cassia è snob. Simpaticamente snob, sia chiaro. Ma è snob, perché si spinge sicura in un tripudio di rocce e vegetazione spontanea dentro i quartieri a Nord di Roma, quelli più chic e ambiti. Ed è snob nel panorama delle vie consolari capitoline perché incredibilmente - invece che iniziare in Campidoglio - comincia la sua corsa verso l'elegante Toscana da Ponte Milvio, passaggio sul Tevere fra i più importanti, più densi di storia e più frequentati (oggi come ieri) della Città Eterna. 


Ad attenderla, alla fine del viaggio, c'è Ponte Vecchio a Firenze. Due ponti e due fiumi (il Tevere e l'Arno). Due città completamente diverse che nei secoli si sono "passate" lavoratori, uomini e donne e un numero infinito di pellegrini che percorrevano via Cassia lungo antichi tracciati etruschi poi inglobati e "modernizzati" dai romani, fra campi, montagne e greggi al pascolo. 

Sul suo cammino fascinoso e un po' consunto, inoltre, specie quando si esce da Roma, è facile inciampare nella storia della città. E infatti ci si potrebbe mettere in moto, per esempio, seguendo il filo lasciato da Nerone. Partendo dalla chiesa di Santa Maria del Popolo, ecco il primo indizio. Quando ancora la chiesa era qualcosa di fantasioso, lì c'era la tomba di famiglia dei Domizi Enobarbi, gens dell'imperatore. Ed è proprio lì che - con ogni probabilità - l'urna di alabastro che conteneva le ceneri del sovrano suicida fu spostata dopo i riti di cremazione. 

La damnatio memoriae cominciò un istante dopo e si protrasse anche molti secoli dopo, fino al Medioevo, alimentata dagli storici cristiani che a Nerone imputarono tutto, le molte ingiustizie commesse e anche alcune inventate. Ma i romani - che difficilmente credono alle chiacchiere dei potenti - iniziarono una strana tradizione, quasi un culto blasfemo e, fino al XII secolo, quando papa Pasquale II fece demolire il sepolcro e costruire la chiesa, continuarono a portare fiori sulla tomba della gens del tiranno pazzo. 

Era come se la città avesse bisogno di un simbolo controverso, di un protettore strambo e crudele e così questa strana attenzione non si fermò. Serviva un altro luogo in cui rievocare Nerone e fu trovato in una tomba senza nome immersa nell'Agro romano sulla Cassia. Da quel momento il mausoleo si chiama Tomba di Nerone, alla faccia dell'archeologia.

Oggi sappiamo che il sepolcro, che svetta splendido e bianco fra i ciuffi d'erba, apparteneva in realtà a un patrizio vissuto nel III secolo, Publio Vibio Mariano, e a sua moglie, Regina Maxima. Ma durante una corsa alla scoperta del cuore di via Cassia è bello pensare che Nerone sia ancora lì, ad aleggiare intorno alla tomba, per perorare la sua innocenza davanti alla storia e a gridare la propria gratitudine al popolo romano il quale, prima di tutti gli storici moderni, sentiva che l'imperatore non poteva essere il male incarnato, per lo meno non più degli altri. Non più di tutti gli uomini di potere che - fin dalla notte dei tempi - hanno messo le mani su Roma.





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