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Locali. Osterie. "Portece n'antro litro!"

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Che cos'erano le osterie prima dell'avvento degli aperitivi? Un mondo a parte che faceva da cuscinetto in una Roma piena di contraddizioni, un universo sparito di cui oggi più che mai si sente la mancanza. Segui Gaia in questa passeggiata dell'anima

Fa strano andare per aperitivi nella città delle osterie. 

Quando a Roma si bevevano le “fogliette” (il mezzo litro in un boccale di vetro, creazione di un ebreo che si chiamava Meier), sotto i tavolacci c’erano i coltelli e sopra i tavoli c’erano i gomiti dei romani che lì si incontravano per chiacchierare, giocare, fare a botte, fare l’amore e ubriacarsi sinceramente di vino buono. 

Il quadro era ben diverso da quello dei bar di oggi. A Roma si girava a piedi, c’erano i pastori che si fermavano nel Foro e all’osteria si andava solo per bere e per giocare, qualche volta per mangiare, spesso per dormire in una grande sala comune in cui fiati di poveri si mischiavano a quelli di ricchi viaggiatori in sosta. L’osteria era forse l’unico spazio veramente democratico in una città che – per la verità – non ha mai disdegnato le contaminazioni fra plebei e patrizi, nobili e popolani.

In questo equilibrio precario l’osteria faceva da ago della bilancia. Era riparo, luogo di origine di spedizioni punitive contro gli abitanti dei rioni vicini (e nemici). Era tutto: vita, morte e miracoli di una città abituata a vivere per la strada, a vedere stranieri e ad accoglierli nel bene e nel male (qualcuno dice per mangiarseli subito dopo, omaggiando così la proverbiale crudeltà romanesca). 

Le osterie erano anche luoghi d’arte, quando l’arte (o meglio gli artisti, spesso forestieri in attesa delle vantaggiose commesse papali) voleva mischiarsi al popolino e dal popolino prendere modelli a buon prezzo e cibi saporiti. Dalle osterie, inoltre, iniziavano le carriere delle prostitute romane, “categoria” praticamente sconosciuta nella storia tessuto sociale romano, ma in realtà fondamentale, perché erano tantissime e molto indaffarate specialmente quando i Giubilei portavano nella Città Eterna centinaia di migliaia di pellegrini affamati di indulgenze plenarie, ma ben disposti verso il peccato se poi potevano liberarsene proprio sull’uscio di San Pietro. Stupiti che il vino e la Chiesa fossero così vicini?

Non stupitevi. Perché parte delle entrate papali derivavano dalla famigerata tassa sul vino (cioè il papa guadagnava su bevute e sbornie) e anche un’iniziativa santissima come il pellegrinaggio di San Filippo Neri, quello delle sette chiese giubilari (San Pietro, San Paolo fuori le mura, San Sebastiano, San Giovanni in Laterano, Santa Croce in Gerusalemme, San Lorenzo fuori le mura, Santa Maria Maggiore) di solito prevedeva anche la sosta – si dice – in quattordici osterie. 

Ma dove sono oggi questi luoghi così rappresentativi di Roma? Si sono estinti, spariti insieme a un’idea di città che non esiste più. Difficile trovarne di veramente rispettose dello spirito originario. Ed è un peccato in fondo, anche se quando si ha a che fare con la capitale c’è sempre da chiedersi cosa ci riserverà il futuro piuttosto che piangere su un patrimonio perduto. 

Eppure, senza osterie, non ci sarebbe stata la Garbatella. Una cosa da far tremare le vene e i polsi. Infatti, una delle teorie sul nome dell’ultimo rione di Roma (cronologicamente parlando) suggerisce la vicinanza con un’ostessa garbata e bella così apprezzata da romani e pellegrini da essere rimasta impressa nella memoria storica del suo territorio fino a cambiarne la sua denominazione. Chissà se con un nome diverso l’atmosfera calda e popolare di questa porzione della Città Eterna sarebbe stata la stessa.

Probabilmente no, come negativa deve essere per forza la risposta a una domanda simile estesa su tutta Roma. Che adesso non se ne vedano più può far storcere il naso agli appassionati della storia remota della città, ma cosa sarebbe stata la capitale senza le sue osterie? Una città di fede e arte, questo sì. Ma Roma senza gli ubriaconi, senza le fogliette, senza il vino e senza le coltellate della tradizione non avrebbe lo stesso calore e lo stesso colore che oggi, estinzione a parte, ancora la rende unica. 





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