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Appio Claudio: Archeologia, Verde e Paesaggi “Neorealisti” fra la Tuscolana e l'Appia

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L'Appio-Claudio, con la sagoma inconfondibile della chiesa dedicata a Don Bosco e i pini marittimi che segnalano uno degli ingressi allo splendido Parco degli Acquedotti è uno di quegli angoli di cui ci si innamora in fretta, grazie alla natura, alle memorie archeologiche e a una storia particolare, che ispirò anche Pier Paolo Pasolini per un suo film, "Mamma Roma"

Da una parte il Quartiere Don Bosco e l'Appia, dall'altra la Tuscolana e il Quadraro. Tutto oggi sembra a portata di mano da queste parti. E l'Appio Claudio è una specie di "ombelico" romano che guarda alla Roma contemporanea dei quartieri appena fuori le mura che sembrano a un passo dal centro.

L'immagine è diametralmente opposta rispetto a quella che si ricavava fino a cinquant'anni fa. Il cuore della capitale batteva inequivocabilmente fra i suoi "veri" confini e la Città Eterna finiva appena passate le porte, in uno spettacolo di borgate fantasma, baraccopoli, miseria. 



Pasolini chiamava questa parte di Roma: «La corona di spine che cinge la città di Dio» ed era vero. A partire dal Mandrione (sulla Tuscolana), all'epoca, complici anche la guerra terminata da poco e fenomeni migratori in pieno svolgimento, l'Appio Claudio insieme a tutte le periferie della città a Est e Sud-Est si riempivano di diseredati che rosicchiavano verde alla campagna per costruire case di fortuna, o qualche "villino" in muratura tirato su in pochi giorni e con altrettanti mezzi.


La "città spontanea" prendeva strane forme, creava comunità eterogenee che si stringevano attorno a un destino collettivo non roseo, spesso sulla spinta di scuole improvvisate e chiese di frontiera.



Accadde anche da queste parti, nella chiesetta sperduta di San Policarpo e poi più tardi intorno al Don Bosco, la cui cupola, non a caso, compare anche in uno dei film più intensi di Pasolini, Mamma Roma, insieme ai condomini dell'Ina Case che, negli anni del boom, si sostituirono alle baracche.



Ma oggi che la chiesa non c'è più, San Policarpo non è un nome dimenticato. Basta aggirare la mole del Don Bosco e entrare nel Parco degli Acquedotti dalla zona affettuosamente dedicata al santo "iniziatore" di questa comunità.

Anche qui, come già sulla strada per Capannelle sono gli archi dell'Acquedotto Claudio, poi ristrutturato da papa Sisto V (al secolo Felice Peretti, da qui la denominazione di Acquedotto Felice) a dominare il paesaggio. 




Ed è a uno spettacolo di luci e ombre, di sentieri silenziosi, di vasti prati verdi a primavera e bruciati dal sole d'estate che bisogna prepararsi.


 Le prime baracche della zona si appoggiavano ai fornici dell'acquedotto per sostenersi; mentre adesso, le arcate esili e consumate corrono di nuovo libere da impedimenti in un paesaggio spoglio eppure denso di emozioni. 

È in questi momenti che bisognerebbe mormorare il titolo del film di Pasolini di cui sopra. Mamma Roma.






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