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Acquedotto Claudio: Passeggiate Archeologiche alle Capannelle

Ippolito_CaffiCapannelle,_1843.jpg

Prima di arrivare all'Ippodromo delle Capannelle di Roma c'è un paesaggio archeologico ancora poco noto e tutto da scoprire. Che sembra un quadro dell'Ottocento di Ippolito Caffi. Stiamo parlando del Parco degli Acquedotti, scopritelo oggi con Gaia.

C’è un quadro di Ippolito Caffi del 1843 con l’Acquedotto Claudio che entra nella visuale dal lato sinistro e scorre verso l’orizzonte con i Colli Albani sullo sfondo. Le arcate sono interrotte ogni tanto da una crepa che è come un taglio netto. Le pietre sono rosicchiate e, fra un’interruzione e l’altra, si intravede l’alloggiamento delle condotte su in alto. La luce è giallognola. Il cielo, azzurrissimo, è macchiato di nuvole grigie e quando lo guardi per un po’ quasi avverti la tramontana che sta per spazzare via il brutto tempo lasciando cieli sereni e freddo intenso. Sembrerebbe l’istantanea di una Roma che non c’è più.

Ma non bisogna lasciarsi ingannare dall’ansia di dover piangere Roma sparita perché, in fondo, durante una passeggiata nel Parco degli Acquedotti, perla verde proprio del quartiere fra l’Appia Nuova e la Tuscolana, l’immagine sarà più o meno la stessa di quella immortalata da Caffi sulla sua tela a metà Ottocento. È la magia del parco, l’incanto di ritrovarsi in una Roma spogliata di molti dei suoi strati e sentirsi perfettamente comodi. Osservare l’Acquedotto Claudio che taglia il prato e poi che si mescola con i ruderi degli altri acquedotti presenti nel parco è uno spettacolo di “eternità romana” che non ha nulla da invidiare al centro storico. 

Ecco cosa si rischia di incontrare quando si parte alla scoperta dell’Ippodromo di Capannelle, perdendosi nell’immensa periferia capitolina, oggi tormentata dal traffico degli aerei di Ciampino, sempre più frequenti e sempre più rumorosi. Oltre il Parco degli Acquedotti, che tanti set improvvisati ha regalato ai film “peplum” della Cinecittà anni Cinquanta, anche il piccolo quartierino detto Statuario regalerà la gioia sottile di arrivare inaspettato e inatteso. Il nome già si spiega benissimo. Ma l’aspetto dice di più, per quell’estetica da Città Giardino che lo inserisce fra alcuni tesori moderni troppo spesso ignorati di Roma, come Montesacro o San Saba: casette graziose sormontate da copie di statue romane in un omaggio alla decorazione della vita quotidiana oltre che della città dei marmi. 

Poco più fuori, inoltre, c’è la Villa dei Quintili che nel Medioevo era stata scambiata per un insediamento pre-Roma, tanto era grande e generoso il ritrovamento sotterraneo di quella che poi in realtà si capì che era la dimora di campagna di due ricchi fratelli patrizi del ii secolo. La domus che oltre a fornire otia a volontà era anche una fiorente azienda agricola non mancò di attirare le attenzioni dell’imperatore Commodo il quale fece in modo di accusare i due fratelli di una qualche congiura per impadronirsene e aggiungere ulteriore sfarzo alla grandezza se mai può essere possibile.

Oggi si cammina quindi in continuo alternarsi di epoche, fra ruderi che raccontano l’ultimo paio di secoli dell’Impero romano e una natura che è anch’essa Roma allo stato puro, cieli e prati, pini marittimi e rovine.

Capannelle, infine, non è poi così lontano. L’ippodromo e il quartiere che gli si è sviluppato intorno è un altro dei capitoli della “favola” di questa città e racconta una storia che sa di sudore di bestia e di soldi vinti e persi.
L’immagine simbolo della pista per le corse dei cavalli – visto che abbiamo cominciato questo pezzo con un’altra istantanea – avrà, invece, sempre la luce di un film che ha narrato bene il cuore di Roma: Le ragazze di Piazza di Spagna. Una delle tre sartine abita proprio qui, nell’ippodromo, fra cavalli, fantini e cavallari. Nelle scene in cui la ragazza è a casa sua, lo schermo è sopraffatto da una distesa di verde punteggiata dalle staccionate bianche. La città quasi si assenta, si eclissa per lasciare il giusto spazio ai paesaggi sgombri di Capannelle. Una Roma sparita che invece stavolta si vorrebbe piangere un po’. 







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